Si può fare! Per una nuova economia globale fondata sul commercio etico - Apoteca Natura

Si può fare! Per una nuova economia globale fondata sul commercio etico

Aboca Edizioni / Bene Comune / Commercio etico / Cooperazione internazionale / Coronavirus / Democrazia / Diritti umani / Economia Bene Comune / Farmacie Benefit® / ONU / Sostenibilità / Sviluppo sostenibile

Il dibattito su come si possa giungere ad uno sviluppo davvero sostenibile è quanto mai attuale in un periodo di emergenza sanitaria ed economica globale come quello che stiamo vivendo. In questa discussione, che è al centro degli Stati democratici dei cinque continenti per portare soluzioni concrete alla realtà del dopo pandemia, si inseriscono le riflessioni dell’economista Christian Felber pubblicate nel saggio “Si può fare!”, pubblicato in Italia da Aboca Edizioni. Un volume che in realtà lo storico austriaco ha scritto ben prima dell’avvento del COVID-19, ma che sembra sorprendentemente suggerire la via per uscire dall’odierna situazione di crisi nell’interesse e per il bene di tutti. La via tracciata è quella “Per una nuova economia globale fondata sul commercio etico, come si legge nel sottotitolo del libro.

Il commercio: un mezzo, non un fine

«Il commercio deve essere al servizio dei diritti umani e dei valori fondamentali di una collettività democratica: questo è il suo giusto posto, in questo modo compie la sua funzione e trova la sua legittimità.»

Costruire una società diversa, più sana e giusta con le persone e che metta al centro diritti e sostenibilità, è un obiettivo che potrebbe convincere molte più forze e protagonisti dell’economia mondiale ora che la diffusione del Coronavirus ha sconvolto completamente gli equilibri. Per Felber la ricetta per raggiungere questo traguardo è rappresentata da un vero e proprio cambio di paradigma: il passaggio dal libero mercato al commercio etico.

Il commercio da sempre è la linfa vitale dell’economia, pochi però lo considerano un bene comune. Anzi, le nostre opinioni a riguardo si polarizzano spesso e volentieri su due estremi: da una parte il libero mercato, che trasforma il commercio in un fine in sé, e dall’altra il protezionismo, che lo considera invece una forza da contenere. Ma c’è una terza opzione che va oltre la logica del bianco o nero e che si focalizza non più sui profitti ma sugli interessi delle persone: il commercio etico.

Secondo Felber i fini della politica sono la piena realizzazione dei diritti umani, uno sviluppo sostenibile a livello mondiale, la coesione sociale, una distribuzione equa, la diversità culturale. E il commercio é un mezzo per perseguirli: uno strumento che può promuovere oppure mettere in pericolo i suddetti obiettivi. 

«A seconda dei casi, deve esserci più commercio, o meno, o di tipo diverso. A seconda che il mezzo sia al servizio dei fini o nuoccia ad essi, il commercio può e deve essere agevolato e incentivato, oppure ostacolato e limitato, in modo oculato e tenendo in considerazione i valori di cui e al servizio».

Eppure è sotto gli occhi di tutti che questa visione è quanto di più distante dagli effetti prodotti dalle dottrine economiche dominanti.

La copertina di “Si può fare!” libro di Christian Felber pubblicato da Aboca Edizioni .

Libero commercio Vs protezionismo

L’errore, per Felber, risiederebbe già nella definizione del sistema commerciale contemporaneo. “Libero commercio” significa che il mezzo è liberato dalla considerazione dei fini, trasformando il commercio in un fine a sé stante, quando invece non lo è.

Non è l’unico a pensarla cosi. «Il commercio é un mezzo, ma non é il fine», afferma Bernhard Kempen, famoso giurista esperto di diritti umani. «Un commercio più aperto non é un fine in sé» recita il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. «La salute, i diritti dei lavoratori, salari congrui e  condizioni di lavoro sicure, oltre alla tutela dell’ambiente, sono obiettivi sociali. Il commercio internazionale e gli investimenti sono solamente dei mezzi che possono aiutare a raggiungerli», sostengono gli economisti americani John Cavanagh e Jerry Mander.

A rendere tutto più difficile c’è poi un espediente concettuale. Accostare infatti il termine “libero” al commercio, rende l’opporsi a questo tipo di sistema assai più arduo. «Infatti, chi mai è contro la libertà?» si chiede Felber. «Libero commercio suona bene, come accesso libero, libero pensatore, o amore libero. Chi non ci riflette con attenzione, o non capisce esattamente, si dichiara subito favorevole». Lo stratagemma consiste nel neutralizzare la critica al libero commercio insinuando che i suoi critici siano contro la libertà. Per Felber questo “semplice trucco” funziona benissimo. «Molti critici capitolano già alla prima richiesta di spiegazione e mitigano la loro posizione dicendo che “in linea di principio non sono contrari al libero commercio”. Senza mai sapere bene cosa intendano con esattezza. Chi è a favore del “libero commercio” relega in secondo piano l’ambiente, la salute, i diritti umani e la democrazia. Una risposta più articolata sarebbe: “in linea di principio non sono contrario al commercio, sono solo contrario al libero commercio“».

C’è poi l’altra faccia della medaglia, perché chi manifesta la propria contrarietà al “libero commercio” viene automaticamente bollato con l’etichetta del protezionismo. Come se non esistesse una gamma di opzioni differenziate tra “frontiere aperte” e “frontiere chiuse”. Ricorda Felber come si senta spesso l’accusa “Ma la Germania trae vantaggio dalle frontiere aperte”, così come reazioni del tipo “Proprio per questo chiudere ora le frontiere non è certo una soluzione”. Oppure come si accetti docilmente la risoluzione dell’Unione Europea che recita “Tornare agli Stati nazionali non risolve nessuno dei problemi principali”.

Il commercio etico

L’Economia del bene comune (EBC), espressione coniata proprio da Christian Felber e divenuto un autentico movimento, non persegue né il libero mercato né il protezionismo: trascende gli estremi integrando i loro nuclei validi – i valori della libertà e dell’uguaglianza – per plasmare qualcosa di nuovo: il commercio etico appunto, un modello che è al servizio dei valori fondamentali della collettività democratica, senza tralasciare le questioni chiave del nostro tempo: i diritti umani, il cambiamento climatico e il crescente divario tra Paesi poveri e ricchi.

In questa rivoluzionaria visione, i paradigmi dell’economia classica vengono sovvertiti e le parole chiave diventano ricerca del bene comune e cooperazione al posto di profitto e competizione. Un nuovo sistema economico che funziona solo se le relazioni cambiano, con fiducia, responsabilità, supporto reciproco e collaborazione a rappresentare il vero collante sociale, politico ed economico. Le imprese che praticano l’economia del bene comune non sono dunque in concorrenza fra loro, ma collaborano per perseguire l’obiettivo del maggior bene collettivo, rispettando un codice etico condiviso.

Nello specifico, Felber propone l’idea di una zona di commercio etico dove gli Stati che rispettano i diritti umani, i diritti dei lavoratori e tutti gli altri accordi dell’ONU, potrebbero commerciare più liberamente tra loro, neutralizzando il dumping ( procedura di vendita di un bene/servizio su di un mercato estero a un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita/produzione del medesimo prodotto sul mercato di origine al fine di conquistare un nuovo mercato) in ogni ambito e proteggendosi da quanti lo praticano.

Secondo Felber un nuovo corso economico coincide dunque con una nuova centralità delle istituzioni democratiche, oggi fin troppo subalterne alle grandi organizzazioni economiche. Ciò concerne una rinuncia agli attuali trattati internazionali – su tutti il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) e il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) – e l’accettazione dell’ONU come sede unica del diritto economico internazionale.

L’ingresso alla zona di commercio etico delle Nazioni Unite, inoltre, potrebbe dipendere dai risultati di un bilancio del bene comune che deve essere universale (deve cioè tenere conto di tutti i valori fondamentali), quantificabileconfrontabilepubblicocomprensibile per la collettività e facilmente vincolabile a conseguenze legali. Ma come si calcola questo indice?

Il valore del bene comune

Nel movimento dell’Economia del Bene Comune il raggiungimento degli obiettivi del bene comune viene anteposto a indici finanziari di prestazione come PIL, utili e rendimento. Nel commercio etico, dunque, il risultato economico è valutato solo in base al contributo che gli scambi commerciali comportano nel perseguimento degli obiettivi degli Stati di diritto democratici e della comunità internazionale.

Felber immagina anche come fare a tracciare quello che lui definisce il “prodotto del bene comune” di ogni Stato. 

«I liberi e sovrani cittadini potrebbero riunirsi nelle loro comunità e compilare anzitutto un indice del bene comune locale che comprenda, poniamo, i 20 elementi più rilevanti per la qualità della vita. Qui vi si troverebbero presumibilmente i diritti umani, gli obiettivi di sviluppo e di sostenibilità, e appunto tutto ciò che costituisce una buona vita per gli esseri viventi». Tutti gli studi e i lavori finora condotti, specifica Felber, indicano che nei fattori fondanti il bene comune sono contenuti aspetti fondamentali della qualità della vita delle persone come «la salute, l’educazione, un alloggio dignitoso, relazioni oneste, coesione sociale, un ambiente preservato, un’equa distribuzione, i concetti di democrazia, sicurezza, pace, creazione di senso e fruizione del tempo».

Quando il prodotto del bene comune, frutto di un’elaborazione democratica, cresce, le persone sono certe che staranno meglio, perché sulla bilancia ci sono le loro stesse priorità e dunque i valori più alti. Si verrebbe così a creare un indicatore “sovrano” con cui giudicare se il commercio, se più commercio, se investimenti o crediti favoriscano o meno tali obiettivi fissati dalla comunità democratica di ogni Stato.

Le imprese, in questo modo, diventerebbero «società al servizio del bene comune, non più macchine per produrre profitti e danneggiare le comunità» conclude Felber.

“Si può fare!” è un saggio provocatorio, carico di fervore e lungimiranza, in cui l’economista austriaco ci dimostra come una nuova economia globale fondata sull’eticità sia davvero possibile.

L’autore

Christian Felber (Salisburgo, 1972), professore universitario e conferenziere di fama internazionale, ha studiato a Vienna e Madrid e lavorato come scrittore e giornalista. Ha fondato ATTAC Austria, Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e per l’Aiuto ai Cittadini, e dato vita al movimento internazionale dell’Economia del Bene Comune. Nel 2012, per Tecniche Nuove, è uscito “L’economia del bene comune. Un modello economico che ha futuro” (tradotto in dieci paesi). 

www.christian-felber.at

Christian Felber, autore di Si può fare! pubblicato da Aboca Edizioni.

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