Sars-CoV-2 e Inquinamento Atmosferico - Apoteca Natura

Sars-CoV-2 e Inquinamento Atmosferico

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Il Particolato come “Carrier” (trasportatore)

Sono state poste le legittime domande se la diffusione pandemica e la letalità del virus Covid-19 potessero essere implementate ed in quale modo, dal particolato atmosferico (PM= una miscela di particelle solide e liquide in sospensione nell’aria).

È sostenuto da un’imponente letteratura scientifica che l’inquinamento da PM10 (particelle di diametro inferiore a 10 µm), PM2.5 (fine), NOX (ossidi di azoto), SO2 (biossido di zolfo), CO (monossido di carbonio), O3 (ozono), rappresenta uno dei fattori di rischio più importanti per la salute ed è causa ogni anno di 5-7 milioni di morti premature nel mondo (circa 60.600 in Italia).

Le ipotesi che sottintendono le domande sono che il particolato atmosferico contribuisca alla diffusione della infezione e renda l’organismo più vulnerabile alla stessa. L’ipotesi del PM come trasportatore (carrier) del virus è stata avanzata tra gli altri, in uno studio dell’Università di Harvard, esaminando la correlazione tra esposizione a PM2.5 e rischio di morte per Sars-Cov2. L’eccesso di rischio riportato era notevole: 8% di eccesso di mortalità, per un incremento di 1 μg/m3 di PM2.5.

Negli anni scorsi erano stati condotti diversi studi con lo stesso intento, sulla diffusione delle influenze aviaria e suina negli allevamenti, in USA e in Asia. Con risultati mai conclusivi e spesso discordanti (correlazione positiva con PM10, ma negativa con PM2.5). Tuttavia, una correlazione statistica positiva non è sufficiente di per sé stessa a stabilire “tout court” un rapporto “causa-effetto”.

Non esistono oggi lavori scientifici che dimostrino in modo inequivocabile la presenza sul PM di Covid-19, con carica virale attiva sufficientemente infettante. Il report ha sollevato perplessità sia dal punto di vista del metodo (tempo di osservazione breve, assenza di peer-review che è una valutazione critica da specialisti aventi analoghe competenze a chi ha condotto l’opera), sia da quello del merito.

Se è vero che il particolato può veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini) è poco verosimile che il Covid-19 possa mantenere intatte le sue proprietà infettive dopo permanenza in ambiente outdoor, trasportato dal PM su lunghe distanze, per tempi lunghi. Temperatura, disidratazione, raggi UV danneggiano inevitabilmente l’involucro virale e la capacità infettante. I virus sono per definizione parassiti endo cellulari (vivono solo all’interno di una cellula).  

L’ipotesi che il particolato possa trasportare il virus è stata criticata dalla Società Italiana di Aerosol (IAS), da un documento della Rete Italiana Ambiente e Salute (RIAS), dal CNR e da varie ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente).

Altri report, inoltre, escludono la possibilità che il PM possa veicolare il virus (Belosi F. et. Al. On the concentration of Sars-Cov2 in outdoor air and the interaction with pre-existing atmospheric particles) e la misurazione delle particelle virali in aria non sarebbe di alcuna utilità per prevedere nuove ondate pandemiche (ARPA Lombardia).

È in corso uno Studio Epidemiologico Nazionale condotto da ISS (Istituto Superiore di Sanità) e ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) su Inquinamento atmosferico e Covid-19, che speriamo possa dare nei prossimi mesi risposte adeguate.

Durante il periodo di lockdown per la pandemia, da dati satellitari e delle centraline fisse è emersa una significativa riduzione dei livelli NO2, ma non della concentrazione di PM10 e PM2,5.

Secondo la WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità), non vi sono prove conclusive che Meteo e Clima abbiano influenza sulla diffusione del virus (è stato trasmesso in tutte le regioni del mondo, in climi freddi e secchi, e in quelli caldo-umidi). I Cambiamenti Climatici potranno influire indirettamente sulla diffusione, riducendo le risorse idriche disponibili per l’igiene personale (l’80% della popolazione mondiale è soggetta a carenza di H2O), e sulla risposta alla malattia, poiché (come l’inquinamento atmosferico) minano già alla base lo stato di salute delle persone.

Sappiamo con certezza invece che la trasmissione del virus avviene principalmente attraverso le goccioline (droplets) emesse normalmente con la respirazione. L’infezione può attivarsi per inalazione da parte di persone vicine (< 1-2 metri) e/o tramite il contatto delle mani con superfici contaminate (WHO, 2020).

Rimangono di importanza fondamentale il mantenimento fisico delle distanze ed i dispositivi di protezione individuali, soprattutto negli ambienti chiusi.

Il Particolato come “Booster” (amplificatore)

L’evidenza che il particolato atmosferico sia dannoso alla salute umana è emersa da molteplici studi epidemiologici di coorte (studio in cui uno o più soggetti, esposti e non esposti ai fattori di rischio vengono seguiti nel tempo per valutare l’incidenza di un fenomeno o di una malattia) che hanno dimostrato e quantificato con precisione la correlazione tra esposizione a PM e patologie acute e croniche.

È noto che l’esposizione ad alti livelli di inquinamento gioca un ruolo significativo nell’accrescere la suscettibilità del polmone alle infezioni virali. Sappiamo che gli inquinanti alterano la prima linea di difesa dell’organismo (l’epitelio ciliato delle alte vie respiratorie) e predispongono allo sviluppo di patologie respiratorie croniche. Lo stato infiammatorio cronico dell’apparato respiratorio provocato dal PM favorisce anche in soggetti giovani e sani, la penetrazione di agenti infettivi e riduce le capacità respiratorie.

Si può certamente affermare che il ruolo dell’inquinamento atmosferico per le consolidate conoscenze scientifiche, più che azione di trasporto (carrier) della pandemia potrebbe avere quella di amplificatore (booster) degli esiti.

Il PM più fine (PM1) attraversa l’epitelio polmonare e passa nel sangue, veicolando molecole chimiche (come gli idrocarburi). Tali sostanze possono causare un incremento delle placche aterosclerotiche e innescare fenomeni di vasocostrizione ed ipercoagulabilità ematica (con formazione di trombi) ed essere causa di eventi acuti cardiovascolari (aritmie, infarti del miocardio, ictus) in percentuale superiore rispetto agli effetti avversi respiratori.

Se conosciamo abbastanza a fondo i meccanismi fisiopatologici descritti in precedenza, i meccanismi cellulari e molecolari che mediano gli effetti degli inquinanti sulla suscettibilità alle infezioni virali, risultano ancora poco conosciuti.

È stato dimostrato nel sistema renina-angiotensina (meccanismo ormonale che regola la pressione sanguigna, il volume del plasma circolante e la contrazione delle arterie) che l’esposizione a PM comporta sovrapproduzione di molecole infiammatorie.

La sovrapproduzione di molecole infiammatorie nei campioni di siero di pazienti affetti da Sars-Cov-2 è il fattore ritenuto responsabile di indurre la famigerata tempesta citochinica con aumento della ipercoagulabità ematica e susseguenti embolie polmonari (che sono state probabilmente la principale causa di morte, prima che venissero instaurati massivamente i trattamenti anticoagulanti).

Le patologie cronico-degenerative, l’età avanzata, lo status socioeconomico sono ulteriori variabili considerate fondamentali nell’aumentare la vulnerabilità al Covid-19 dei gruppi di popolazione più fragili.

Condizioni patologiche croniche respiratorie: asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), fibrosi polmonare, da inquinamento, rendono i soggetti affetti più suscettibili allo sviluppo di infezioni respiratorie. Tali infezioni si manifestano con maggiore gravità rispetto alla popolazione generale, con prognosi peggiore ed aumento della mortalità.

È ipotizzabile un’interazione molecolare tra PM e Covid-19, ma sono necessari ulteriori studi sia per una conferma definitiva, ma soprattutto per la quantificazione dell’effetto esercitato.

Conclusioni

In futuro nuove pandemie emergeranno e arrecheranno enormi danni all’economia mondiale causando la morte di molte più persone rispetto a quelle uccise dal Covid-19.

È l’allarme lanciato dall’ Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, se non verrà cambiato l’approccio globale alla tutela degli Ecosistemi, alla revisione delle politiche Economiche ed Energetiche, alla gestione delle politiche Sociali e di Sanità Pubblica.

La tutela degli ecosistemi naturali ed il risparmio delle risorse energetiche rappresentano infatti il principale e più importante intervento di Prevenzione Primaria.

La maggior parte delle malattie infettive emergenti ha origine dalla fauna selvatica, che a causa della pressione antropica sull’ambiente naturale (deforestazione, allevamenti intensivi, consumo di suolo), vede sempre di più ridotti i suoi habitat e la biodiversità degli ecosistemi.

È stato stimato che i costi causati dal Covid-19 siano stati fino ad ora di circa 16 trilioni di dollari a livello globale. Se 1/100 di questo denaro fosse stato utilizzato per la conservazione ambientale, forse non ci troveremmo in questa situazione.

È il momento di cambiare rotta!

Poiché non è l’Ambiente ad essere a rischio, ma la sopravvivenza dell’intero genere “Homo” cosiddetto “Sapiens“.

Autore

Dottor Federico Balestreri

Laurea in Medicina e Chirurgia

Laurea in scienze Ambientali

Master in Tossicologia degli Inquinanti Ambientali

Formatore di Team Leader per i PSA (Piani di Sicurezza per l’Acqua) nella filiera idropotabile.

Ministero della Salute e ISS

Coordinatore Nazionale Gruppo di Lavoro VIS (Valutazione di Impatto Sanitario) ISDE Italia

Presidente sezione Isde Cremona

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